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Reviews for This wild darkness

 This wild darkness magazine reviews

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Review # 1 was written on 2012-06-29 00:00:00
0was given a rating of 4 stars Derek Davis
UN MORSO ALL’OSCURITÀ …nella sua imminenza la morte conferisce una certa bellezza alle proprie ore – una bellezza che forse non ha corrispettivi, ma che è travolgente. Per dirla con Gadda, che del dolore faceva oggetto e tramite di ‘cognizione’, finiti tutti i viaggi possibili, l’altrove di cui resta da parlare è la morte. La letteratura è il linguaggio che consente di esprimere il dolore mediandolo razionalmente e cioè imponendo all’espressione una sorveglianza che lo rende comunicabile: la letteratura rende pubblico ciò che non si sarebbe potuto dire, o, più semplicemente, trova le parole per dirlo. Sono pagine che arrivano alla pancia passando dalla testa: le emozioni e il dolore non sono mai buttati sulla carta. Ci sono le viscere di Harold Brodkey, malato di AIDS (malattia che negli anni Novanta si scriveva con le lettere scarlatte della Colpa e del Peccato), passate attraverso la mediazione razionale. È letteratura, non un colpo basso: non è un libro piagnone, non c’è auto indulgenza, Brodkey sembra restare distante (in realtà, ovviamente, è dentro fino in fondo, ma alla sua maniera – d’altra parte, cos’altro potrebbe essere?), è il suo rifiuto di soffrire, ma soprattutto, direi, di farci soffrire, di essere compatito. Non è un libro che si potrebbe presentare in TV. È un libro che deluderà parecchio chi cerca la lacrima facile, l’emozione immediata sempre e comunque, sopra tutto, soprattutto. Il poeta è un fingitore // finge tanto interamente // che sa fingere che è dolore // il vero dolor che sente, dice Pessoa. Pippo Delbono nello spettacolo teatrale “Questo buio feroce”. Ma poi, in fondo, no, non è così, basta seguire il ritmo dei capitoli, scandito da passaggi di tempo, che seguono lo sviluppo del male, l’approssimarsi della fine: primavera 1993, l’inizio, l’annuncio della malattia (90 pagine); estate 1993 (10 pagine); inverno avanzato 1993 (8 pagine); primavera 1994, sta meglio, è tornato a Venezia (22 pagine); estate 1994 (6 pagine); inizio autunno 1995, un salto temporale che nello stato di salute di Brodkey si trasmette direttamente allo stomaco di me lettore (11 pagine); tardo autunno 1995 (6 pagine). Ma poi, in fondo, no, non è così: perché dentro queste pagine è anche raccontata una grande meravigliosa perfetta storia d’amore, come la vorremmo tutti (come le avrei volute tutte). Chi non vorrebbe essere descritto così: In lei adesso vedo un aspetto da Orlando: è padre e madre, moglie e marito e figlio e figlia; è se stessa e me-degli-anni-andati. Tilda Swinton in “Orlando” di Sally Potter, 1992. Devo dire che disprezzo vivere se non posso farlo a modo mio. E ancora, proprio alla fine: Se dovessi rinunciare a quello che ho scritto per guarire da questa malattia, non lo farei. Chapeau, Mr Brodkey. Ancora Delbono nell’omonimo adattamento teatrale del 2006.
Review # 2 was written on 2014-05-24 00:00:00
0was given a rating of 2 stars Mandy Wilson
Rating: 2.5* of five The Publisher Says: It is possible not to care for Harold Brodkey's obsessive, digressive, almost plotless fiction and still be moved by this memoir of his last sufferings until his death, in mid-1996, of AIDS. Brodkey was a writer for whom style was everything, but in his own implacable and untimely mortality he found a subject before which style was nothing. In this assemblage of essays, journal entries, and brief notes, he confronts his illness from a clinical perspective without losing his ironic tone or his genius for minutiae. In a sense, Brodkey wrote nothing but autobiography throughout his career; this, then, is a fitting final chapter. My Review: Fabulous language, gorgeous emotional honesty, and why in the end do I care so little? His wife seems to me a woman who made a bad bargain and stuck with it; he seems self aware and unblinkingly honest about his fate, but some essential something that would give this book its heart wasn't put into it. I suppose it could be the supre-tight focus on Brodkey's death and death alone that makes me feel somehow bereft of personal feeling. Perhaps I feel slightly uninterested because I know so little of the man himself before the illness. I can't really be certain, since my editorial sense deserted me as I read this book. I fell into a fogged unwillingness to read or stop reading, a very unusual state for me. A very strange book. This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 3.0 Unported License.


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