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«Nel lascito manoscritto di Wittgenstein si trovano numerose annotazioni che, sebbene inframmezzate al dettato filosofico, non appartengono direttamente alle opere filosofiche. Si tratta di annotazioni in parte autobiografiche, in parte concernenti e la natura dell’attivitàfilosofica e argomenti di carattere generale quali ad esempio i problemi dell’arte o della religione». Con tali annotazioni H. von Wright ha composto questo volume, l’ultimo finora degli inediti di Wittgenstein. Come indica il carattere della scelta, si tratta di un libro che rappresenta non giàuna certa fase della sua ricerca filosofica, ma una sorta di traversata aforistica di tutta la sua vita (il primo dei «pensieri diversi» è del 1914, l’ultimo è del 1951, anno della morte di Wittgenstein). In questa raccolta di pensieri Wittgenstein, con maggior evidenza che altrove, parla dunque innanzitutto a se stesso, interrogandosi su ciò che il suo pensiero spesso presupponeva senza nominarlo: la sua visione della societàche lo circondava, della musica, della letteratura, del cristianesimo, dell’ebraismo, della scienza. Anche se, per capire ciascuno di questi «pensieri», bisogna sempre ricostruirgli intorno il paesaggio di una ininterrotta indagine filosofica, tale è la nettezza – la suprema «chiarezza» a cui Wittgenstein aspirava –, la penetrazione e la naturale autoritàdi queste osservazioni da costituire un libro a cui si torna e si ritorna continuamente, scoprendo ogni volta qualcosa. Mai come in queste pagine appare dichiarata, per esempio, l’estraneitàdi Wittgenstein al mondo moderno in quanto fondato sul culto della tecnica e del progresso. Con rapide, drastiche formulazioni egli mostra qui tutto il suo disprezzo per queste tarde superstizioni, tanto più penose in quanto chi le coltiva si ritiene lucido e ragionevole. E sorprendente appariràla sua appassionata partecipazione alla grande musica tedesca fino a Brahms, come anche il suo coinvolgimento nell’opera di scrittori, quali Spengler e Weininger, che finora ben pochi avrebbero messo a contatto con lui. E la desolata drammaticitàche per Wittgenstein appartiene al pensiero, il senso di impotenza, di inadeguatezza, che lo perseguitavano trovano qui una imponente testimonianza. Più che dell’aforisma, Wittgenstein è stato maestro insuperato della frase definitiva, della similitudine e dell’interrogazione, come sanno tutti i lettori che ripercorrono la sua opera, dal Tractatus alle Ricerche filosofiche. Molti esempi, e memorabili, delle une e delle altre si troveranno in queste pagine, che ci danno un ausilio prezioso nell’arte più difficile: vedere ciò che abbiamo «davanti agli occhi».
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